Compassione è la ventiduesima parola di questo bizzarro mese di Agosto. La parola che ti catapulta nei panni dell’altro con rispetto e calore.
Compassione. E’ una parola, questa, delicata.
Una parola che ha spesso bisogno di essere riflettuta per consentire il passaggio dal quasi offensivo “mi fai compassione“, al “provo compassione per quello che stai vivendo“.
Espressione, quest’ultima, che sfocia facilmente nel processo di empatia e che ci fa provare vicinanza verso l’altra persona. L’aspetto significativo della compassione riguarda, secondo me, l’intenzione che diventa capacità di immedesimarsi nell’altra persona.
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La competenza di abbattere le barriere del giudizio, della distanza e sapersi mettere nei famosi panni dell’altra persona. E di competenza occorre parlare perché è solo questa che favorisce la comprensione, la vicinanza, il calore umano.
Preferisco fare errori nella gentilezza e compassione che miracoli nella cattiveria e durezza.
Madre Teresa di Calcutta
Il farsi coinvolgere senza farsi travolgere.
E questo processo non va collocato solo nei grandi eventi, ma riferito proprio agli scambi quotidiani, in una discussione, soprattutto quando diviene animata. Posso mettermi nei panni dell’altra persona e chiedermi: “Se io fossi lei cosa penserei a questo punto? Come vedo me, come vedo la situazione? Come mi suonerebbe il mio timbro di voce e le parole che sto pronunciando e le espressioni del mio viso?“
Comincio a considerare, a sentire le sue sensazioni e anche a recepire che, forse, in qualche maniera, potrei arrivare a rivedere la mia posizione. O semplicemente esprimerla con maggiore rispetto.
Il potere della compassione è quello di generare un profondo senso di essere insieme, di appartenere allo stesso universo e per questo adoperarsi per un saggio agire, un saggio pensare, un saggio percepire, un confortevole sentirsi insieme.
Un saluto da Anna Maria.
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