Ti Capisco è la tredicesima espressione di questo Dicembre della gentilezza. Un’espressione da pronunciare con grande delicatezza e attenzione.
E’ un’espressione da pronunciare con delicatezza. Quella più sottile, capace di non sancire “la fine” di un dialogo ma di aprirlo a spazi di silenzio via via più profondi.
Dovrebbe arrivare dopo un ascolto affettuoso, attento, premuroso e forse essere preceduta da una pausa di silenzio, il tempo di un respiro.

Solo così può arrivare senza manomettere, senza ridurre l’intensità con la quale, chi sta dialogando con noi, ci racconta del suo disagio, della sua sofferenza, del suo dolore.
Comprendere: “cum prendere”, cioè prendere qualcosa e diventare uniti con essa. Se ci limitiamo a esaminare una persona dall’esterno senza diventare una con lei, senza metterci nei suoi panni, entrare nella sua pelle, non arriveremo mai a comprenderla.
Thich Nhat Hanh
Che questo emerga da un ambito relazionale, di salute, o a causa della dipartita di una persona cara.
Qualunque sia la fonte del racconto, “ti capisco” deve essere offerto con l’attenzione da q.b, quanto basta.
Questa espressione presenta dei rischi quando viene fatta seguire dalla frase “so quello che provi”. Può arrivare ad assumere un aspetto quasi nocivo quando ci permettiamo di anteporci all’altro, di scavalcarlo con un “anch’io” orgoglioso di raccontarsi in modo quasi irriverente, alla pari dell’”io invece“.
Sarebbe auspicabile rispettare l’unicità, l’individualità dell’altro. Il fatto che l’esperienza di chi sta parlando, proprio di quell’ “io”, possa rimanere nella custodia della sua irripetibilità, lontana dall’essere ridotta all’esperienza di chi ascolta.
Ecco, questo è ancora il senso della gentilezza. Non ridurre la persona a un “anch’io” o a un “invece io”, a volte a un frettoloso “ti capisco”.
Quanto sarebbe più ampio un “ti ascolto”, uno di quelli in cui riusciamo a stare, a “so-stare“, in quello che l’altro sta dicendo proprio ora, “so-stare” nella sua emozione, nella sua espressione del viso.
Ecco forse solo a questo punto, in punta di piedi possiamo sussurrare un “ti capisco”!
Un “ti capisco” che, solo in queste condizioni, può diventare vibrazione di suono che arriva a toccare il cuore dell’altra persona, a farla sentire avvolta da un calore che non pretende di proporre soluzioni, ma solo vicinanze umane, un sentirsi meno solo e per questo compreso!

- Ti capisco quando mi parli accorata del pensiero che ti sta turbando.
- Ti capisco quando cerchi di trasferirmi la difficoltà che stai attraversando.
- Da come ti sto ascoltando, dalla mia presenza puoi sentire lo spazio della comprensione che desidero riservarti.
- Sai di poter contare sul mio ascolto, sul mio desiderio di comprensione.


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Ciao da Lorenzo!
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