Leggere significa dedicarsi completamente per apprezzare appieno la qualità della scrittura dei vari autori. Qui sta questo dialogo gentile.
Da qualche anno scrivo di gentilezza. E lo faccio perché ne ho constatato la mancanza. La mancanza di una gentilezza autentica ancora poco conosciuta, poco praticata.
Ho compreso che fra lo scrivere e il leggere, e poi il praticare, manca spesso quella connessione sottile che identifico con il dialogo, dialogo con se stessi, dialogo con gli altri.
La scrittura cresce con chi legge
Pier Cesare Bori
Nel mio scrivere ho voluto un linguaggio semplice, immediato per raggiungerti nel cuore. Credo che parlando franco, di fronte a te, forse, avrei potuto essere ancor più vera dentro di me. Perché la franchezza e la sincerità non significano solo dire quello che sento, ma significano conquistare quello che sono davvero.
E cerco di parlare al cuore per trovare il mio stesso cuore.

Mi sono compagni in questo mio agire, scrittori professionisti, ai quali mi ispiro come Eugenio Guarini, Alberto Meschiari. Sicuramente anche altri. Mi aiutano a sostenere alcuni capisaldi, come la presenza che nutre la gentilezza. Oppure come la responsabilità dell’ascolto anche quando si legge.
E’ un ascolto speciale, un ascolto ancor più gentile quello che mette in campo colui che legge. Perché è un ascolto particolare, riservato, intimo che rende onore a chi ha scritto, dal profondo. Una connessione sottile, non visibile, ma che crea comunque un contatto, un dialogo. Come se fosse in presenza e quindi potrebbe richiedere una cura particolare.

Ci si può cambiare di abito quando ci si accinge a leggere un testo. Si entra nella consapevolezza del tempo che lo scrittore ha dedicato alla sua opera. Possiamo inventarci quello spazio di silenzio, scelto e creato, per pensare le parole da scrivere, per prendersi cura della relazione, per soddisfare i suoi bisogni, pur nel rispetto e nella comprensione dello spazio dell’altro.
Si entra in una dimensione di condivisione, di dialogo. Perché l’ascolto, l’ascolto nella lettura, fa parte del dialogo. Diventa dialogo.
Alberto Meschiari nel suo testo “Il libriccino del silenzio“, Edizioni Tassinari Firenze, parla di una lettera che Niccolò Machiavelli scriveva all’amico Francesco Vettori durante il periodo d’esilio a Sant’Andrea in Percussina, alle porte del Chianti. E racconta la propria giornata…
Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui…
Trovo squisita questa delicatezza nell’indossare gli “abiti migliori“, anche mentali. Prima di accingersi ad aprire le pagine “delli antiqui huomini“. E fra questi abiti, non solo esteriori, ma metaforici, il silenzio ha uno spazio particolare. Il silenzio, di cui parla sempre Alberto Meschiari nel suo testo “Il libriccino del silenzio”, da cui traggo e condivido le seguenti considerazioni…
[…] Leggere è una forma di dialogo, e una forma privilegiata: occorre dedizione, attenzione, volontà d’ascolto. Il rumore ci impedisce di trascenderci, di abbandonare la situazione contingente per trasferirci anima e corpo nei nostri autori. Se poi l’interlocutore è speciale – Cechov, poniamo – se la sua scrittura è ricca, raffinata, elegante, bisogna dedicarglisi interamente per poterne apprezzare la qualità. O come si potrebbe leggere Shakespeare senza ricreare dentro di sé quel medesimo silenzio di cui sono impregnati i suoi drammi! Nel rumore si leggono solo parole che non arrivano a vibrare nell’ anima, che non provocano risonanza nella cassa armonica del nostro cuore, che non scuotono i nostri sentimenti. “Il linguaggio – osserva Georges Gusdorf ne L’autenticità della comunicazione, in Filosofia del linguaggio -è soltanto una via di comunicazione, ma non è la comunicazione stessa”.
Sicché lo sforzo del creatore richiede in cambio uno sforzo analogo da parte del fruitore della sua opera: la comunicazione implica insomma una condivisione della difficoltà. E invece il lettore medio, l’uditore e lo spettatore banale credono di poter godere senza fatica di ciò che ne è costata tanta al creatore. Ad esempio, accontentandosi della storia, della trama, e trascurando completamente l’acutezza dello sguardo, la finezza dell’analisi, la raffinatezza del linguaggio.
Conseguentemente preferirà sempre lo scrittore o altri, che è già compreso prima ancora di essere letto, perché dice esattamente ciò che diremmo anche noi e con la medesima povertà di linguaggio. Come si fa a comprendere nel rumore ciò che fu scritto, composto, dipinto, eretto nel silenzio?
Di questo passo tutta l’opera del passato, tutta la cultura straordinaria dell’umanità, rischia di diventare incomprensibile e muta al nostro mordi e fuggi da turista distratto. […]
Ecco! Qui è il senso autentico della gentilezza. Presenza, rispetto, ascolto nel senso più lato, gratitudine, apprezzamento e connessione con l’altro. Un senso di “inter-essere” che restituisce valore ai tanti attimi di vita che ciascuno di noi dedica a condividere la cultura del senso della possibilità, della consapevolezza, dell’evoluzione.

Ogni giorno ricordo a me stesso che la mia vita interiore ed esteriore si basa sul lavoro di altri uomini, vivi o morti, e che devo sforzarmi di dare nella misura in cui ho ricevuto e sto ancora ricevendo
Albert Einstein
Ciao da Anna Maria!
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