Esiste un terribile contagio che dobbiamo evitare a tutti i costi. E’ il contagio del nostro pensiero, che oscilla tra media opprimenti e reazioni personali.
C’è una dimensione della nostra esistenza costantemente sottoposta al contagio: il pensiero. Diversi autori hanno scritto sull’arte del pensare, sostenendo anche che a scuola non ci insegnano a farlo.
Chi non sa cambiare la struttura del proprio pensiero non potrà mai cambiare la realtà.
Anwar Al-Sadat
In realtà la libertà di pensare si conquista, come scrive Galimberti:”…un compito etico da trasmettere da una generazione all’altra, un compito infinito che si ripropone ogni volta che una visione del mondo, una dittatura, una propaganda, un’insistenza mediatica, riescono a farci credere che sono i nostri pensieri che in realtà, magari, addirittura senza accorgercene, abbiamo assimilato.“
E continua:”Ma per pensare con la propria testa dobbiamo aver nutrito la testa con la cultura ed il senso critico, a cui dovrebbe allenare la nostra scuola, perché oggi a condizionare la mente è la potenza pervasiva dei media. E questa persuade appoggiandosi alla nostra ignoranza, al nostro bisogno di conferme, a quella guerra mai risolta fra identità e appartenenza, dove a vincere è sempre l’appartenenza, perché lì ci si sente protetti, sostenuti e soprattutto ‘come tutti gli altri’, che è poi il sogno di quanti faticano a esprimere la propria autonomia, difficile da sostenere e da difendere“.
Il pensiero, e comunque l’azione del pensare, può essere considerato come l’abilità operativa attraverso la quale l’intelligenza lavora sulla base dell’esperienza.
L’atteggiamento mentale comporta la volontà di considerare il mondo in una varietà di modi diversi, attraverso il riconoscimento che qualunque prospettiva è soltanto una fra le tante possibili.
Italo Pentimalli in un suo articolo scrive:“… la realtà è soggettiva: solo il 10% della tua vita è fatto da ciò che ti accade, mentre il 90% ce lo metti tu ed è composto da “come” reagisci agli eventi esterni“. Ed è quel 90% che farà la differenza nella tua vita. Ed è questo 90% che va preservato dal contagio. Occorrerà scegliere cosa, ciascuno di noi, può fare di questo suo 90%.

Un processo molto funzionale è quello suggerito da Edward De Bono con i suoi “Sei cappelli per pensare“, approccio ampiamente trattato nell’omonimo libro.
Con il primo cappello, quello bianco si prendono in considerazione i dati. Questa è una fase molto delicata, perché implica attingere a fonti affidabili, nutrirsi di confronti funzionali, garantirsi una fonte scientifica. E, seppure i dati dovessero essere neutri, verranno comunque descritti e raccontati. E, inevitabilmente, un po’ risentiranno di qualche possibile interferenza interpretativa.
Seguono altri due cappelli, il rosso e il nero, che permettono di accedere alle emozioni più diverse. Emozioni come paura, ansia, perplessità, forse anche gioia, entusiasmo, passione. Per poi includere altre emozioni, quelle provocate da pensieri come “finirà tutto male, le cose non cambiano“, insomma le visioni più catastrofiche. Fermarsi qui cosa comporterebbe? Ciascuno di noi sa che, anche nelle situazioni meno rosee, ha comunque reagito, magari si è fatto aiutare a farlo. E allora De Bono fa seguire il cappello giallo. Quello che attinge a uno spesso “già conosciuto da noi“, diamoci da fare, rimbocchiamoci le maniche o più scherzosamente, “diamoci una mossa”. E qui le cose vanno già meglio.

Poi con un balzo di creatività, il cappello verde può far nascere un’idea. Un’idea, anche folle, ma che stimola una qualche innovazione (sono le scoperte eccezionali di cui l’essere umano è stato capace).
L’ultimo cappello, quello blu implica la presa di posizione, più possibile a conclusione del significativo processo. Magari non la soluzione, ma una qualche attivazione in una qualche direzione, sì.
Non esiste un cappello migliore o peggiore dell’altro. Ognuno porta con sé vantaggi e anche qualche possibile svantaggio. Solo saperli indossare tutti e saperli levare, ciascuno di essi funzionalmente, potrà garantirci che quel 90% si potrà nutrire di consapevolezza e di responsabilità. Perdipiù aiutandoci nell’assumere il pensiero più funzionale.

In questo senso pensare diventa un’arte.
E se consideriamo che l’attività di pensiero è costante in tutta la vita, sarà utile coltivare e nutrire l’intenzione di alimentare pensieri funzionali, non positivi, non felici, funzionali. Questo potrebbe essere una inutile forzatura in certe situazioni. Ma “addomesticare i pensieri selvatici®” come scrive Nicoletta Cinotti, credo che potrebbe essere un’attività a cui potremmo pensare di dedicarci.
Il pensiero non addestrato, non consapevole, può essere ballerino, può tendere ad oscillare da un’idea all’altra. In una mente non allenata, un’idea suscita un’emozione che a sua volta condiziona la nostra visione delle cose. E poi il pensiero si lancia lungo il sentiero imboccato, con il rischio di non effettuare nessuna reale esplorazione dell’argomento.
Al pensiero serve la nostra fiducia e questa riesce a sorgere quasi spontanea. Soprattutto quando le parole sono scelte con cura e gentilezza, parole che permettono di non generalizzare, catastrofizzare, giudicare. Sono parole possibili che generano, a loro volta, pensieri possibili!
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Oggi siamo un po’ assediati da tantissime informazioni, forse troppe. Il rischio è quello di non sapere trattenere quelle funzionali, quelle utili. Pertanto abbiamo bisogno di pensare, di scegliere cosa pensare, per decidere quali informazioni cercare e dove andarle a trovare.
Abbiamo bisogno di pensare per utilizzare al meglio le informazioni di cui disponiamo. E proprio in questo spazio di consapevolezza saremo in grado di evitare quel contagio così pericoloso. Cosa che ci consentirà di rimanere sovrani nella nostra realtà interna, permettendoci di affrontare quella esterna, nelle migliori condizioni di proattività.
La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe il pensiero
Karl Kraus

Per cui prevenite il contagio del pensiero. Il contagio del vostro pensiero. Vostro quasi al 90%!
Ciao a tutti da Anna Maria!
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6 commenti
Un solo commento da fare: meraviglioso! Andrebbe fatto leggere in tutte le scuole e non solo
Grazie francesco per l’attenzione e la considerazione. A scuola non insegnano a pensare. E pensare è un’arte! Saluti Anna Maria
Il contagio del pensiero che osserviamo tende a valorizzare solo il pensiero di tipo convergente mentre reprime lo sviluppo del pensiero immaginativo e divergente.
Entrambi proiettano futuri possibili ma mentre il pensiero convergente o futuro semplice è il frutto di un’articolazione logico-formale del tipo se/allora, il pensiero divergente non è una ri-edizione del reale, premuta dall’urgenza dei bisogni, né un tuffo nell’immaginario, che segua la curva di desideri impossibili, ma una prospezione nel regno del possibile.
Tale prospezione va di pari passo con le crescenti esigenze di calcolo e predizione che caratterizzano la società tecnologica moderna. Ma va pur detto che non si tratta più solo di un calcolo numerico – a cavallo fra economia e politica, politica e demografia.
Luca, le tue note sono sempre così preziose e da qualche tempo mi mancavano. Sto leggendo gradualmente (solo perchè scritto in inglese, altrimenti lo avrei già terminato) “Do you see horizons where others draw borders?” E in questo ebook ci sono sicuramente stimoli espansi sul concetto di pensiero. Grazie sempre Anna Maria
Benvenuta Anna Maria! Ho trovato molto piacevole questa lettura sui “cappelli”. Mi riconosco nella persona che indossa il cappello blu, sono sempre stata così, fino da ragazzina. Certe volte esprimere il tuo pensiero diverso ti fa sentire un po’ un individuo solo, l’antipatico o il noioso. Ma quando scopri che avevi ragione, che il tuo pensiero andava nella direzione giusta…… allora torna a crescere la tua autostima …..e ritrovi lo slancio per nuovi pensieri!
Grazie Serena, ben trovata. E’ nella diversità, anche nella diversità di pensiero che si cresce. Diversità che può essere espressa con rispetto, diversità che merita rispetto.. Ciascuno di noi ha mappe e confini, ciascuno di noi sta portando avanti la sua ricerca. L’importante è che la ricerca sia dinamica ed i confini mobili. Grazie per questo scambio e anche per lo “slancio” di nuovi pensieri! Caramente Anna Maria