Suona strano. Ma analizzando le loro teorie sulla forma dell’Universo, riusciamo a trovare delle analogie tra Dante e Einstein.
Dante Alighieri e Albert Einstein appartengono ad una ristretta cerchia di geni che, con la potenza della loro immaginazione, hanno cambiato per sempre il nostro modo di guardare il mondo.
Tuttavia le loro esistenze sono separate da quasi sei secoli di storia. Li dividono la nazionalità e la lingua. E le discipline nelle quali hanno espresso il loro talento (la poesia e la fisica) sono da molti considerate agli antipodi della conoscenza.
Eppure, se il Sommo Poeta e il padre della teoria della relatività dovessero incontrarsi da qualche parte e si trovassero a parlare della forma dell’Universo scoprirebbero di pensarla praticamente allo stesso modo.
Ma andiamo con ordine!
Nel 1916 Albert Einstein dà alle stampe uno dei lavori più significativi della storia della scienza: si tratta di “Die Grundlagen der allgemeinen Relativitätstheorie” (“I fondamenti della relatività generale“), considerata da Lev Landau, “la più bella delle teorie“.
La relatività generale è la teoria che oggi meglio descrive lo spazio, il tempo e la gravità.
Nel 1905, Einstein aveva elaborato la cosiddetta teoria della relatività ristretta, nella quale lo spazio e il tempo vengono trattati come un’unica entità a quattro dimensioni (tre spaziali e una temporale) che prende il nome di spaziotempo. Tuttavia, nella relatività ristretta, la gravitazione non entrava in gioco.
Nella relatività generale Einstein reinterpreta la gravità non più come forza in uno spazio-tempo passivo, ma come conseguenza delle proprietà geometriche dello spaziotempo, il quale viene “curvato” dalla presenza di masse.

La forza di gravità dunque non esiste (anche se può fare comodo usarla per eseguire determinati calcoli) ma gli oggetti cadono e i pianeti si muovono attorno al Sole perché lo spaziotempo attorno a loro è incurvato.
Utilizzando una metafora dello stesso Einstein, “non siamo contenuti in una invisibile scaffalatura rigida: siamo immersi in un gigantesco mollusco flessibile“.
Per quanto possa sembrare bizzarra, la teoria della relatività generale è stata confermata da un grande numero di esperimenti ed ha fornito predizioni straordinariamente precise.
Ad esempio, è proprio grazie alla relatività generale che è stato possibile prevedere l’esistenza dei buchi neri e delle onde gravitazionali ed è grazie alla stessa teoria che il GPS è in grado di fornire indicazioni corrette.
Circa due anni dopo aver pubblicato il suo famoso lavoro, Einstein pensò di utilizzare quei risultati per descrivere l’intero Universo. L’articolo “Kosmologische Betrachtungen zur allgemeinen Relativitätstheorie” (“Considerazioni cosmologiche nella teoria della relatività generale“), pubblicato nel 1917, è considerato una delle pietre miliari della cosmologia moderna.
Per millenni gli uomini si erano chiesti se l’Universo fosse infinito oppure avesse un bordo. Entrambe le ipotesi sono ostiche. In un universo infinito, con una infinità di stelle, il cielo notturno avrebbe dovuto essere luminoso come durante il giorno (paradosso di Olbers); se c’è un bordo, invece, che cos’è questo bordo? Cosa c’è dall’altra parte?
La soluzione di Einstein è che l’Universo possa essere finito ma senza bordo.
Un po’ come la superficie della Terra che, essendo curva, è finita ma non ha un bordo. Se ci mettiamo a camminare sulla superficie della Terra non andiamo avanti all’infinito ma prima o poi torniamo al punto di partenza. L’Universo potrebbe essere fatto allo stesso modo: se ci mettiamo in viaggio su un’astronave andando sempre dritto ad un certo punto torniamo sulla Terra.
Questo è ciò che avviene se la forma dell’Universo è quella di una tre-sfera, ovvero l’analogo della sfera in uno spazio quadridimensionale.
Dal punto di vista matematico il concetto non è particolarmente complicato. Una sfera ordinaria (o due-sfera), per semplicità scelta con centro nell’origine e raggio 1, può essere definita come l’insieme di tutti i punti dello spazio tridimensionale P(x, y, z) che soddisfano l’equazione:
x² + y² + z² = 1
Per quanto riguarda la tre-sfera (sempre con centro nell’origine e raggio 1) è sufficiente aggiungere una coordinata: si tratta quindi dell’insieme di tutti i punti dello spazio quadridimensionale P(x, y, z, t) che soddisfano l’equazione:
x² + y² + z² + t² = 1
Visualizzare una tre-sfera è un po’ più difficile. Per farlo torniamo alla superficie della Terra: una delle tecniche per rappresentarla su un piano consiste nel disegnare due dischi, uno che rappresenta l’emisfero nord e l’altro che rappresenta l’emisfero sud. L’equatore è disegnato due volte, come bordo di entrambi i dischi.

Se partiamo dal polo nord e camminiamo verso sud ad un certo punto attraversiamo l’equatore: nella rappresentazione mediante i due dischi dovremmo “saltare” da un disco all’altro ma nella realtà non dobbiamo fare nessun salto perché l’emisfero sud, per chi viene da nord, “circonda” l’emisfero nord mentre l’emisfero nord, per chi viene da sud, “circonda” l’emisfero sud.
Una tre-sfera può essere rappresentata in modo simile ma con una dimensione in più: due palle incollate per il bordo. Quando si esce da una palla si entra nell’altra, così come quando si esce da uno dei due dischi che rappresentano la superficie della Terra si entra nell’altro. Ciascuna delle due palle è circondata e allo stesso tempo circonda l’altra.
E cosa c’entra Dante? Lo vediamo subito!
Nella Divina Commedia viene presentata una struttura dell’Universo molto dettagliata, fondata sulle concezioni dell’epoca e sulla sua fervida immaginazione.
In particolare nel Paradiso, l’Universo viene descritto cercando di conciliare la cosmologia di Aristotele, con la Terra sferica al centro, con la visione cristiana che pone al centro Dio.

Nel Canto XXVII Dante risale con Beatrice le sfere celesti che circondano la Terra fino alla sfera più esterna. A parlare è Beatrice (vv. 106-108 e112-114):
«La natura del mondo, che quïeta
il mezzo e tutto l’altro intorno move,
quinci comincia come da sua meta
[…]
Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
sì come questo li altri; e quel precinto
colui che ’l cinge solamente intende.»
L’essenza dell’Universo, che mantiene immobile il centro e fa muovere tutto il resto, inizia qui oggi come nella sua origine. La luce e l’amore dell’Empireo circondano il nono cielo come in un cerchio, così come questo racchiude gli altri, e soltanto Dio (“colui che ’l cinge“) può comprendere come.
Nel Canto XXVIII, sempre sul nono cerchio, vengono descritte le gerarchie angeliche come un’immagine speculare dell’Universo aristotelico (vv. 4-9):
Come in lo specchio fiamma di doppiero
vede colui che se n’alluma retro,
prima che l’abbia in vista o in pensiero,
e sé rivolge per veder se ’l vetro
li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
con esso come nota con suo metro; […].
Dante paragona se stesso a qualcuno che scorge in uno specchio la fiamma di un candeliere alle sue spalle e si volta per verificare che lo specchio dica il vero, accorgendosi che l’oggetto e la sua immagine si accordano come il canto con la musica.
Nel XXX Canto, quello in cui il poeta descrive l’ascesa all’Empireo, troviamo infine la seguente terzina (vv. 10-12):
Non altrimenti il trïunfo che lude
sempre dintorno al punto che mi vinse,
parendo inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude, […].
Allo stesso modo, il trionfo (dei cori angelici) che ruota sempre attorno a quel punto di luce che vinse la mia vista, sembrava contenuto da ciò che contiene. Il punto luminoso e le sfere di angeli circondano l’Universo e allo stesso tempo sono circondati da quest’ultimo.
L’Universo dantesco è costituito da due sfere, l’universo visibile con la Terra al centro e l’Empireo con al centro Dio, le quali condividono la stessa superficie, ovvero il nono cielo o “primum mobile”: si tratta della descrizione di una tre-sfera!

Il primo ad individuare, nell’opera di Dante, le geometrie non-euclidee è stato il matematico e filosofo russo Pavel Aleksandrovič Florenskij, il quale nel 1921, in occasione del seicentesimo anniversario della morte di Dante, afferma che “Il quadro di tale Universo non è raffigurabile come da schemi euclidei” e che lo spazio di Dante può essere “caratterizzato geometricamente […] come conformato alla geometria ellittica“.
Colui che per primo ha notato una somiglianza tra l’Universo descritto da Dante e una tre-sfera è stato il matematico statunitense Mark Peterson. Le sue osservazioni sono contenute nell’articolo “Dante and the 3-sphere” pubblicato nel 1979 sull’American Journal of Physics.
Peterson si esprime così:
La convinzione che la terra debba essere rotonda risale almeno ad Aristotele […]» mentre «la convinzione che l’Universo nel suo insieme possa essere rotondo (o più in generale curvo) è molto più recente. Sembra richiedere la matematica del XIX secolo (geometria non euclidea) anche per formulare la nozione. È quindi una notevole sorpresa scoprire, a una lettura più attenta, che la cosmologia di Dante non è geometricamente semplice come appare a prima vista, ma in realtà sembra trattarsi di un Universo cosiddetto chiuso, la 3-sfera. Un universo che emerge anche come una soluzione cosmologica delle equazioni di Einstein nella teoria della relatività generale.
E ancora…
Dante si è posto di trattare una caratteristica evidentemente insoddisfacente della cosmologia aristotelica, quando egli, come narratore nel Paradiso, arriva al “bordo” o “vetta” dell’Universo. Come descriverebbe il bordo? È lo stesso problema che ogni bambino si trova davanti: a meno che l’universo non sia infinito, e quindi si sostiene avere un bordo, allora cosa c’è oltre il bordo? […] L’Empireo viene visto e descritto per la prima volta nel Canto XXVIII del Paradiso in un brano che ho trovato, e ancora trovo, sorprendente. L’immagine è una 3-sfera, così ben descritta come non ho mai visto altrove.

Viene da chiedersi come abbia fatto Dante ad avere un’intuizione così moderna e la risposta è da rintracciare nella grande immaginazione del poeta il quale, di fronte al mistero della natura, ricerca nuove forme di espressione così come lo scienziato ricerca nuove leggi.
Sapendo poi che Einstein ha passato diversi periodi della sua giovinezza in Italia per via del lavoro del padre, viene da chiedersi se i versi del Sommo Poeta possono aver avuto un’influenza diretta sulla sua intuizione riguardo la forma dell’Universo.
Non ci è dato saperlo.
Ma, in ogni caso, questo esempio mostra come Dante e Einstein abbiano qualcosa in comune. Come la scienza e l’arte possano essere ugualmente visionarie e giungere addirittura alle stesse conclusioni. Einstein lo sapeva. E, infatti, scriveva nel 1934 che…
La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero. Sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza.
LEGGI ANCHE…
Dante E La Matematica
Bibliografia:
Mark A. Peterson, Dante and the 3-sphere, American Journal of Physics, vol. 47, 1979;
Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare, Raffaello Cortina Editore, 2014;
Stephen Leon Lipscom, Art Meets Mathematics in the Fourth Dimension, Springer, 2014;
Albert Einstein, Come io vedo il mondo, Newton Compton, 1987;
Giuseppe De Cecco, Dante e l’ipersfera, Ithaca, 2021.
Ciao da Stefano!
Vieni a visitarci sulla nostra pagina Facebook e Metti il tuo MiPiace!
Condividi il nostro articolo sui tuoi social >>