Sono innumerevoli i legami tra Dante e la Matematica e La Divina Commedia è ricca di esempi inerenti alla geometria e all’aritmetica.
La cultura umanistica e quella scientifica vengono spesso dipinte come due mondi completamente separati, se non addirittura inconciliabili. E una loro possibile interazione tende a destare sorpresa.
Eppure le relazioni tra la conoscenza tecnico-scientifica e il sapere umanistico sono molteplici: dagli scienziati-filosofi antichi come Archimede o Aristotele alle conseguenze socioeconomiche della rivoluzione scientifica, fino alle interpretazioni filosofiche della meccanica quantistica.
Esistono due diversi tipi di persone nel mondo, quelli che vogliono sapere, e quelli che vogliono credere.
Friedrich Nietzsche
Il Sommo Poeta lo sapeva bene. E nelle sue opere il legame tra lui, Dante, e la matematica è forte. In particolare nella Divina Commedia, si possono trovare moltissimi contenuti scientifici che vanno dalla matematica alla fisica fino all’astronomia e alla cosmologia.
Uno dei più famosi passi matematici di Dante è probabilmente quello che si trova nel XXXIII canto del Paradiso, quello che chiude la terza e ultima cantica (vv. 133-138):

Mentre Dante osserva la luce divina scorge all’interno di essa tre cerchi (il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo). E, per descrivere le sue sensazioni, utilizza una metafora con la quale manifesta una profonda conoscenza della geometria.
Il poeta paragona se stesso allo studioso di geometria che cerca in tutti i modi di risolvere il problema della quadratura del cerchio, senza trovare tuttavia quel principio di cui ha bisogno. Anche lui, di fronte a quella “vista nova“, cerca di capire, senza riuscirci, come l’immagine umana possa accomodarsi al cerchio. Ovvero come ha fatto Dio a farsi uomo.

Quello della quadratura del cerchio è, insieme alla duplicazione del cubo e alla trisezione dell’angolo, uno dei problemi più famosi della geometria greca. Il problema consiste nel costruire un quadrato che abbia la stessa area di un cerchio dato, utilizzando esclusivamente riga e compasso.
Il problema fu risolto nel V secolo a.C. da Dinostrato, utilizzando una curva detta quadratrice. Dunque, uscendo dai rigidi canoni che prevedevano l’uso esclusivo di riga e compasso.
Solo nel 1882, dopo secoli di tentativi di quadrare il cerchio con riga e compasso, da parte dei matematici greci e poi via via tutti gli altri, il matematico tedesco Ferdinand von Lindeman dimostrò che il problema non poteva essere risolto con il solo uso di questi strumenti. Questo perchè il numero π (pi greco) è trascendente (ovvero non è soluzione di nessuna equazione polinomiale a coefficienti razionali).
Facendo qualche passo indietro, e precisamente arrivando al XIII canto del Paradiso, troviamo i seguenti versi (vv. 97-102):

Dante si trova nel Quarto Cielo del Paradiso e parla con San Tommaso, il quale spiega al poeta in cosa consiste la sapienza di Salomone.
Tommaso ci fa sapere che il terzo re di Israele chiese la sapienza necessaria per ricoprire il suo ruolo di sovrano. E non per conoscere quanti fossero i motori delle sfere celesti. O per sapere se è possibile che esista un “moto primo” (cioè non causato da un altro moto). O, ancora, se è possibile inscrivere in un semicerchio un triangolo che non sia rettangolo.
Gli ultimi due versi riportati si riferiscono ad un noto risultato geometrico. Ovvero che, se un triangolo è inscritto in una semicirconferenza, allora necessariamente è rettangolo. Si tratta di una conseguenza immediata della proposizione 20 del libro III degli Elementi di Euclide: “ogni angolo alla circonferenza ha ampiezza pari alla metà di quella del corrispondente angolo al centro“.
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Ritroviamo Euclide nel XVII canto del Paradiso, vv. 13-15:

Il poeta sta parlando con il suo trisavolo Cacciaguida degli Elisei, incontrato per la prima volta nel XV canto e uno dei personaggi più importanti della Commedia. È proprio l’avo di Dante, infatti, che pronuncia la profezia sul suo esilio da Firenze. E che invita il poeta a raccontare tutto ciò che ha visto nei tre regni, consegnandogli una sorta di investitura poetica-profetica.
Dante si rivolge all’avo (“piota mia“, nel senso di “mia radice“) dicendogli che il suo spirito tanto si innalza che, come le menti umane comprendono facilmente che in un triangolo non possono stare due angoli ottusi. Così lui vede gli eventi terreni prima che che avvengano, guardando quel punto in cui tutti i tempi sono presenti.
Anche qui Dante ha scelto di ricorrere ad una metafora geometrica. Il riferimento è infatti alla proposizione 17 del libro I degli Elementi: “in ogni triangolo la somma di due angoli qualsiasi è inferiore a due angoli retti“.
Dante amava la geometria e, come si apprende dal Convivio, aveva studiato minuziosamente le opere di Severino Boezio, filosofo romano che aveva tradotto in latino le opere di Euclide e di Nicomaco di Gerasa. Sempre nel Convivio troviamo questo passo:
“La Geometria è bianchissima, in quanto è sanza macula d’errore e certissima per sé e per la sua ancella, che si chiama Perspettiva”.

Sempre parlando dei legami tra Dante e la matematica, nella Divina Commedia non mancano anche i riferimenti all’aritmetica, come testimoniano i versi 91-93 del XXVIII canto del Paradiso:

In questo canto, il poeta descrive la visione di un punto lucentissimo e di nove cerchi luminosi attorno ad esso. Il punto è Dio mentre i cerchi sono gli ordini angelici. Ad un certo punto Dante vede i cerchi sfavillare come ferro incandescente ed emettere scintille (gli angeli) in quantità così grande che il loro numero “s’immilla” (ovvero “contiene in sé il mille più volte“) superando persino “il doppiare delli scacchi“.
Si tratta di un riferimento alla famosa leggenda di Sissa Nassir, mago di corte presso lo Scià di Persia e considerato (almeno secondo la leggenda, di cui esistono numerose varianti) l’inventore degli scacchi.
Si narra che Sissa chiese come ricompensa al sovrano, entusiasta della sua invenzione, qualcosa di apparentemente modesto: presa la scacchiera 8 per 8 egli chiese un chicco di riso sulla prima casella, il doppio (cioè 2) sulla seconda, il doppio ancora (cioè 4) sulla terza, e così via fino alla sessantaquattresima e ultima casella.
Quando il ministro del tesoro fece i conti ottenne una cifra spaventosamente grande. Infatti il numero di chicchi può essere ottenuto sommando tutte le potenze di 2 dallo zero a 63:
2⁰ + 2¹ + 2² + 2³ + ··· + 2⁶³ = 2⁶⁴ – 1 = 18 446 744 073 709 551 615
Il numero potrebbe essere letto così: 18 trilioni 446 biliardi 744 bilioni 73 miliardi 709 milioni 551 mila 615 oppure, arrotondando ed utilizzando la notazione scientifica, come 1,8 · 10¹⁹.

Per rendersi conto dell’enormità di questo numero possiamo immaginare di cospargere tutta la superficie terrestre (considerando per semplicità la Terra una sfera di raggio pari a 6 400 km) con i chicchi di riso che spettavano a Sissa. Facendo i calcoli si ottiene che ogni centimetro quadrato della superficie terrestre (mari e oceani compresi) dovrebbe essere occupato da circa tre chicchi e mezzo.
Il sovrano, non potendo soddisfare la richiesta di Sissa e resosi conto dell’inganno, ne ordinò la decapitazione con l’accusa di alto tradimento.
Parlando dei contenuti matematico-scientifici della Divina Commedia si potrebbe andare avanti per ore ma, per oggi, mi fermo qui. Se in casa ne avete una copia apritela e sfogliatela, è possibile che troviate qualche verso matematico che mi era sfuggito!
Ciao a tutti da Stefano.
Bibliografia:
Bruno D’Amore, La matematica nell’opera di Dante Alighieri, Pitagora, 2020;
Silvio Maracchia, Dante e la matematica, in “Archimede”, 1979;
Maurizio Marinozzi, La Divina Commedia e le Scienze, http://www.leparoledellascienza.it;
Dante Alighieri, La Divina Commedia, Biblioteca Universale Rizzoli, 2007.
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