Il 24 gennaio 1984 esce il primo Macintosh, primo di una serie di prodotti che rivoluzioneranno l’azienda Apple e i costumi del mondo.
Quand’è nata era un’azienda divertente. Steve Wozniak e Steve Jobs, per registrare la neonata Apple Computer Inc., avevano scelto come giorno il primo di aprile del 1976. Un modo goliardico per distinguersi dalle seriose aziende tradizionali.
Così come il prezzo del primo prodotto, l’Apple I, prezzato 666,66 dollari (equivalenti a più di tremila euro di oggi) perché Wozniak “amava i numeri con le cifre ripetute“. E gli scherzi.

Apple non ci ha messo molto, però, per diventare un’azienda decisamente seria.
Dopo quasi 45 anni, infatti, Steve Jobs non c’è più. Apple è diventata un colosso mondiale, con la più grande fetta di utili dal mercato mobile. E l’azienda sembra più un brand lifestyle che non una società informatica. Difatti, dal 2007 la ragione sociale della casa di Cupertino è passata da “Apple Computer Inc.” ad “Apple Inc.” e basta. Lo ha voluto Steve Jobs, che aveva già notato la nuova traiettoria che la “sua” Apple avrebbe seguito dopo la nascita dell’iPod (2001), dell’iTunes Music Store (2003) e dell’iPhone stesso (2007). Sempre più apparecchi post-PC e sempre meno computer in senso tradizionale. Quindi, via l’attributo “computer“. Apple e basta.
Una delle maggiori qualità di Apple finora è stata la assoluta passione per i prodotti che realizza: pochi e curatissimi. Non è sempre stato così. E, forse, in futuro non lo sarà più, visto l’attuale moltiplicarsi di fronti e di apparecchi che in parte si sovrappongono. La Apple, fondata da Jobs e da Wozniak nel 1976, raggiunse il suo picco simbolico nel biennio 1984–1985. Con il lancio del Macintosh, primo computer con interfaccia grafica e mouse di serie.

E poi l’allontanamento di Steve Jobs.
Fuori da Apple, dal 1985 al 1996, Jobs si dedicò a Pixar, il suo “hobby” che Disney ha comprato per quasi sei miliardi di dollari alcuni anni fa. E a NeXT, società di computer avveniristici e fallimentari, comprata invece da Apple nel 1996, riportando Jobs alla guida della sua azienda.
Altro scoglio il sistema operativo. Alla fine degli anni Novanta, infatti, per quanto integrato e stabile, il sistema Macintosh aveva un sistema operativo tecnicamente preistorico rispetto a Windows NT o a Linux. L’acquisto di NeXT, nel 1996, portò in casa, oltre a Jobs, anche la radice di quello che sarebbe diventato Mac OS X. Oggi usato sui Mac, ma nella sua base tecnologica anche sull’iPhone e sull’iPad, sulla Apple Tv e addirittura sull’Apple Watch.
Il fattore di discontinuità di Apple è sempre stata la presenza, e poi, la scomparsa di Steve Jobs, leader carismatico, simile a un direttore d’orchestra. Lo è stato alla nascita dell’azienda, come discontinuità rispetto al concetto di lavoro tradizionale. e lo è dalla morte del Ceo, rispetto all’idea di futuro. Jobs non era un ingegnere, e non sapeva programmare, ma sapeva far lavorare assieme tutti i tecnici e gli artisti di Apple. Aveva la “visione“, come dicono i guru statunitensi.

Lui ha “scovato” Jony Ive e lo ha valorizzato, facendogli creare l’iMac e poi tutti i prodotti Apple. Così l’azienda è diventata quella sintesi di creatività e tecnologia che ha saputo innovare in molti settori diversi. Dall’informatica alla vendita online (lo store online di Apple è stato uno dei primi e più grandi negozi virtuali del pianeta), dalla distribuzione online del software e dei contenuti digitali (App Store e iTunes Store) alle innovazioni nel settore retail con gli Apple Store fisici, che oggi sono quasi 500 in tutto il mondo.
La Apple di Tim Cook, braccio destro di Jobs, che alla sua morte ne ha ereditato le funzioni, è però diventata rapidamente un animale molto diverso. Appunto, si diceva discontinuità. Innanzitutto sempre più grande, con sempre più dipendenti.
Tim Cook, tono di voce morbido da gentiluomo del Sud degli Stati Uniti e volontà di ferro, ci ha messo tutto se stesso. Arrivando a dichiarare la sua omosessualità per far valere il suo ruolo in difesa di gay e lesbiche di tutto il pianeta. Una mossa coraggiosa e certamente meditata, perché presa pubblicamente dal Ceo di una delle più grandi aziende al mondo.

Perciò sempre avanti. La Apple di oggi sta affrontando sfide spaventose. La maggior parte del fatturato viene da un singolo prodotto, l’iPhone, le cui vendite sembra che stiano rallentando. E il mercato chiede una innovazione “spettacolare” come ai tempi di iPod, iPhone e iPad.
Una “One more thing” che vale come un colpo di teatro, intuizione geniale del marketing istintivo di Steve Jobs che è però molto lontana dalle corde di Tim Cook.
Il nuovo Apple Watch, la nuova Apple Tv, i nuovi iPad: l’azienda moltiplica i fronti e la qualità dei prodotti. Ma è dal 2010 che non c’è più quell’effetto “wow” a cui ci aveva abituato il gran mago Steve Jobs.
Adesso Apple cerca di aprire nuovi filoni. Dall’automobile elettrica, ma difficilmente capace di guidarsi da sola, alle produzioni televisive “stile Amazon”, per entrare nell’arena dei contenuti. L’azienda lavora anche a un restyling completo di tutti i suoi Apple Store, che diventeranno sempre più glamour, e alla creazione di software e servizi per il cloud che rendano più integrati i suoi prodotti hardware.

I fronti sono molti. E, di sicuro, ad Apple, sulla soglia dei 45 anni, non manca l’energia e la vitalità. Grazie anche a un conto in banca di proporzioni ciclopiche, più di 200 miliardi di dollari in cassa. Ma, secondo i critici, oggi manca la focalizzazione. I suoi prodotti sono molti, straordinariamente curati e accurati, le tecnologie raffinate. Ma per un’azienda che basa il suo fascino sul concetto di “emozione“, il timore degli analisti è quello di un raffreddamento dei sentimenti.
Infine, le aule di tribunale. Apple combatte quotidianamente contro una serie di avversari. Tra i quali anche la Fbi, il Dipartimento di Giustizia americano, le procure di mezza Europa (inclusa quella italiana) per le tasse. E poi le controversie con aziende top come Samsung e Google. Alcuni capitoli sono chiusi, altri in appello. Alcune volte Apple è la vittima, altre il presunto colpevole. Con Samsung sono fioccate accuse reciproche di violazioni di brevetti.
E poi ci sono le pagine nere. A partire da quelle legate alle condizioni di lavoro (e ai suicidi) nelle fabbriche di Foxconn in Cina, dove vengono assemblati i milioni di iPhone. Apple, sotto la pressione dell’opinione pubblica mondiale, e dei gruppi in difesa dei diritti, ha fatto sforzi enormi per riuscire a trasformare le fabbriche dei suoi partner in luoghi in cui ci sia un maggior rispetto dei diritti umani e della dignità dei lavoratori. Molto c’è ancora da fare, ma tanto è già stato fatto.

E il futuro? Telefoni super sottili. Apple ce la farà? Alcuni ritengono che già oggi si possa buttare via il vecchio computer e vivere di solo iPhone e iPad, grazie al cloud.
Altri pensano, invece, che si tratti solo di quel “campo di distorsione della realtà” che era la grande capacità di persuasione di Steve Jobs. Ritornata, forse, a fare parte del DNA di Apple.
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